Tone policing: significato, esempi e cosa fare per combatterlo

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Che cos’è il Tone policing?

Nel 2020 lo psichiatra Raffaele Morelli ha intimato a Michela Murgia il silenzio durante la diretta del Tg Zero di Radio Capital, dicendole “Zitta e ascolta!”.

Sempre nel 2020, Rosena Allin-Khan, parlamentare inglese e dottoressa specializzata in rianimazione si è sentita dire dal Segretario della Salute Matt Hancock di abbassare i toni durante la sua argomentazione.

Entrambi questi esempi fanno parte del fenomeno chiamato Tone policing.

Esempi di Tone policing

Datti una calmata

Non pensi di essere eccessiva?

Non credi di stare esagerando?

Non possiamo parlarne come due persone civili?

Puoi abbassare il tono della voce?

Quante volte ti sei sentita ripetere una (o tutte) di queste frasi quando hai condiviso il tuo punto di vista senza nascondere o censurare le tue emozioni e il tuo stato d’animo?

Il punto che accomuna tutte queste frasi è che non si mette quasi mai in discussione quello che diciamo, ma il modo in cui lo diciamo.

Significato di Tone policing

Il tone policing, chiamato anche tone trolling, tone argument e tone fallacy, è una microaggressione verbale che avviene quando una persona in una posizione di privilegio si sente in diritto di silenziare l’interlocutore o l’interlocutrice, se proveniente da un contesto svantaggiato.

Ciò che si critica attraverso il tone policing non è il messaggio, che passa in secondo piano, ma il modo in cui il messaggio viene comunicato, soprattutto quando sono coinvolte le emozioni che, tuttavia, dipendono proprio dalla questione che si sta affrontando.

Quando le forze dell’ordine raccolgono le testimonianze di chi ha assistito a un incidente, a un evento tragico, secondo te chiedono ai testimoni di darsi una calmata se mentre raccontano ciò che hanno visto piangono o balbettano o urlano o si disperano?

Le vittime del Tone policing

Di solito subiscono tone policing le donne e le donne nere, i giovanissimi e le giovanissime, gli attivisti e le attiviste, le persone che appartengono alla comunità LGBTQIA+, gli uomini non bianchi, non laureati, le persone con disabilità: insomma, chiunque faccia parte di una minoranza oppressa dal patriarcato.

Noi donne, ma soprattutto le donne nere, siamo vittime di questa pratica da molto prima che avesse un nome: praticamente da sempre ci sentiamo dire che stiamo esagerando, che siamo pazze, che dovremmo farci una risata e che non dovremmo prendercela così tanto.

È come dire che emotività e razionalità non possono coesistere, come se si escludessero a vicenda.
Non è così: non siamo robot, automi ed emozionarci quando parliamo di qualcosa che ci sta a cuore e che ha un impatto sulle nostre vite non ci rende meno degne di essere ascoltate.

Di più: ci sono argomenti che richiedono una presa di posizione netta, che non possono essere dibattuti in modo neutrale per raggiungere una soluzione comune.

Janice Gassam Asare ha scritto su Insider che l’immaginario collettivo vede le donne nere come aggressive, ostili e minacciose. Per questo, a chi condivide gli episodi razzisti di cui è vittima viene sempre suggerito di usare un tono più gentile.

“Le persone ti prenderanno sul serio e saranno disposte a dare valore alla tua esperienza a una sola condizione: che tu la racconti esattamente come vogliono loro” (Janice Gassman Asare)

Chi pratica il tone policing si focalizza solo sul tono del messaggio, su come viene detto, ma ne ignora il contenuto e le sue implicazioni. Questo atteggiamento ostacola l’ascolto attivo e la comprensione delle diverse esperienze e dei differenti punti di vista e alimenta le disuguaglianze di potere.

Cosa possiamo fare per combattere il tone policing?

La prima cosa da fare è rendersi consapevoli dell’importanza di abituarsi a riconoscere e a chiamare con il suo nome il tone policing, sia quando ne siamo vittime sia quando lo usiamo contro altre persone.

Infatti, ciò che non si nomina, non esiste!

Fondamentale è anche imparare e interiorizzare questo concetto che sottovalutiamo: le emozioni sono valide, anche quelle negative, e le persone hanno il diritto di esprimersi come vogliono su qualcosa che per loro conta, senza preoccuparsi di urtare i sentimenti degli altri e senza il timore di essere giudicati.

Ciò che per una persona è insignificante, per un’altra può rappresentare un tema di grande importanza. È fondamentale rispettare la soggettività delle esperienze e il diritto di ognuno a provare e a esprimere le proprie emozioni. È importante accettare le emozioni degli altri, anche quando sono diverse dalle nostre, e cercare di comprenderle con empatia.

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